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Storie di spasticità

Affrontare la spasticità post-ictus significa non arrendersi e combattere ogni giorno, anche con il supporto dei propri cari.
Leggi le storie di chi ha deciso di affrontare le proprie paure, lottare e ricominciare.

Isabella

Lucia

Daniele

“Affrontare la paura”

La storia di Isabella

Era il 2009. Tornavo da una gita in montagna e all’improvviso mi è partito un formicolio al mignolo della mano sinistra. Poi mi si è bloccata la mano, poi il braccio e la gamba. Tutta la parte sinistra del mio corpo era paralizzata.
Ho avuto un ictus.
Al primo ospedale mi avevano detto che avevo una paresi da freddo, una cosa passeggera. Ma poi è arrivata la diagnosi, ed era già tardi. Ho passato 15 giorni in Stroke Unit al termine dei quali mi hanno detto che non mi sarei più alzata dalla sedia a rotelle.
È stato pesante. Ed è stato l’inizio della mia riabilitazione.
Quando mi è stato chiesto cosa mi aspettassi dalla riabilitazione o, meglio, quale fosse il mio obiettivo… beh, non ho avuto dubbi. Io volevo indietro la mia indipendenza. Volevo tornare a guidare.
E quando sei su una sedia a rotelle, quando devi riorganizzare casa per riuscire a muoverti, a fare il bagno in autonomia o a cucinare semplicemente… la patente è davvero un miraggio lontano.
Non ce l’avrei fatta senza la riabilitazione, le sedute di fisioterapia, i medici, le terapie giuste... Ma soprattutto non ce l’avrei fatta senza la voglia di lottare. E senza mia sorella, che mi ha spronato tante volte.
Era il 2009 quando ho avuto un ictus.
Per alzarmi in piedi ci ho messo quattro anni.
Sei anni per guidare.
Pian piano sono tornata a fare le cose che mi piacevano, come lo shopping con mia sorella. Certo, invece di comprare le scarpe con i lacci, compro quelle con la zip.
Non è stato sempre facile. I primi anni pensavo davvero di non uscirne. Quando non stai in piedi sei sopraffatto dalla paura. Piangevo e mi buttavo giù pensando di non potercela fare. Allora arrivava mia sorella a dirmi “ci devi provare”. E i fisioterapisti… ne ho incontrati tanti. I più bravi erano i più cattivi; quelli che mi hanno spinta a superare i miei limiti, ad affrontare la paura.

Durante l’ultima seduta di riabilitazione, il fisioterapista mi ha messo in cima a una scala con un bastone e mi ha detto “scendi”. Io piangevo e urlavo che non ce l’avrei fatta. Lui non ha voluto sentire ragioni, e alla fine sono scesa, da sola.
A dieci anni dall’ictus ho fatto una festa di compleanno e brindato con i miei amici. Ecco, ora posso anche scherzarci su. Vivrei meglio se fossi ‘sana’, ovvio, ma vivo bene lo stesso.
Adesso mi è rimasta la paura degli spazi aperti. Ho il terrore di cadere. Certo, un po’ è dipeso dall’intervento al piede. È andato bene, sono felice, ma un po’ è come se dovessi reimparare a camminare... Con la terapia sono riuscita a gestire bene la riabilitazione e il dolore...
Adesso la mia vita è di nuovo vicina alla normalità.
Le difficoltà ci sono, ma rispetto all’inizio le cose sono cambiate drasticamente. La libertà di potersi muovere in autonomia, il non dover aspettare gli altri, sono sensazioni che mi danno molta forza.
Io non corro, però insomma… Me la cavo lo stesso.
Ho imparato a non avere più fretta.

“Cambiare approccio alla vita”

La storia di Lucia

La mia vita è cambiata 4 anni fa. Sono caduta, semplicemente. Non una, non due, ma tre o quattro volte. Mi ricordo solo di essere a terra.
Poi il vuoto. Mi sono svegliata in ospedale.
Immagina di chiudere gli occhi e di aprirli senza poter più muovere metà del tuo corpo. La metà che usi per mangiare, scrivere, salutare, toccare, prendere. La metà su cui ti appoggi. Da mancina, perdere l’uso della mano, del braccio e della gamba sinistri è stato terribile.
La mia vita è cambiata radicalmente.
In quattro anni non ho mai smesso di fare fisioterapia, mai smesso di cercare quello che avevo perso. Ho imparato daccapo come fare tante cose. Le ho imparate con la mano e con il braccio destro, perché quello sinistro non riesco più a usarlo.
La fisioterapia, associata ai trattamenti farmacologici, mi aiuta a combattere l’ipertono e a evitare che il braccio si irrigidisca troppo. La situazione migliora sensibilmente. E così sto meglio anche io.
Ho ripreso a camminare. Ho la patente e la macchina. Sono indipendente, e questo è quello che conta. E per quello che non riesco a fare, beh, ogni tanto si può chiedere una mano… c’è chi mi sta a fianco.
Per stare bene ho dovuto cambiare vita. Cambiare approccio alla vita.
Ecco, non mi arrabbio più. Cerco di rimanere rilassata, per evitare ulteriori problemi e ricadute. Ed è un po’ come vivere in un altro mondo. Ma non è per niente male. Io e mio marito - che ha avuto un’ischemia - ci teniamo impegnati, ci siamo l’uno per l’altra.
Non ho paura. Sto bene.

“Ricominciare”

La storia di Daniele

Sono un medico. Mi occupavo di chirurgia orale di precisione.
L’ictus mi ha sradicato la vita.
Una data impossibile da dimenticare, quel giugno 2014. È iniziato tutto con una forte emicrania che non passava nonostante gli antidolorifici, per diverse ore… non saprei dire quante. Un tempo dilatato.
Ho chiamato il 118 e ancora non avevo capito, non sapevo niente. Per un po’ non ho realizzato cosa stesse succedendo, finché, qualche giorno dopo, non mi hanno tirato fuori dalla Stroke Unit.
A quel punto avevo la diagnosi di ictus e la vita stravolta.
Ero un paziente emiplegico sinistro. Cosa significa? Gamba, braccio, mano e spalla sinistri completamente paralizzati. Indubbiamente non si può dire che sia una cosa piacevole. No. Direi che è una mazzata bestiale.
Sono passati oltre sei anni dall’ictus, l’evento che rappresenta una cesura tra la vita di prima e quella “post”.
I primi sei mesi dall'ictus mi sono completamente isolato poi, ho iniziato il trattamento fisioterapico e farmacologico, oltre alle terapie di neuropsicologia, e con il tempo le cose sono migliorate.
Oggi riesco a muovermi: sebbene con fatica, riesco a camminare. Il braccio e la mano sono ancora emiplegici, ma ho notato dei grossi miglioramenti. Ora sono fermo da un po'...Devo ricominciare.
Ricominciare...
Qualcosa nel tempo si è smosso a livello sociale, rispetto all’isolamento iniziale, ma è durissima. La possibilità di lavoro, per esempio, al momento è zero. Ci vorrebbe più supporto dallo Stato, economicamente e a livello di assistenza sanitaria.
Penso a chi non ha una casa, un posto dove stare, persone dalle quali tornare. A chi non ha supporti.
Io, almeno in questo, mi ritengo fortunato.
Ho la mia famiglia.